Bu-mar-rang, in una lingua appartenente ad una delle molte tribù aborigene.
Ma questo strumento non era diffuso solo in Australia. Molti studi archeologici hanno portato alla luce in India, in Florida, in America, in Olanda, ritrovamenti di questi utensili/armi dimostrando il buon grado di impiego già nella preistoria e la loro straordinaria capacità di tornare nelle mani del lanciatore.
Boomori, significa vento. Forse la parola boomerang deriva da qui.
Un oggetto che l’uomo utilizza per colpire, dandogli una direzione, imprimendo forza, ed il vento lo ingloba e lo fa giungere dove è destinato fino a che non giunge il tempo di farlo tornare a casa, dal suo proprietario.
L’uomo che lancia questo bastone ricurvo per condurvi grazia e gentilezza, vedrà questi colori tornare.
L’uomo che non si cura di ciò che proietta esternamente, non sa ciò che la Vita restituirà.
Luci e buio, geometrie che generano le paure primordiali: cosa porta quel groviglio incandescente di magma e lava, cosa portano quei sottili fili lucenti, quei veli che si snodano dallo sfondo galattico, Ventre Genitore?
Danzano figure femminili a cui si congiungono gli uomini, danzano e sanno che presto porteranno avanti altre vite. I brevi attimi di armonia sono interrotti dalle fatiche di qualcosa in procinto di emergere.
Osservare esili fanciulle, le cui braccia appaiono steli flessuosi pieni di raffinata nobiltà, piegarsi e torcersi, lasciando che la morbida chioma possa celare l’asprezza di contrazioni per quella Vita che brama uscire. La paura, l’ombra, il richiamo della Galassia, il Ventre Genitore che benedice finalmente la nascita. I nuovi venuti sono sulla Terra, lasciati ai piedi delle Madri. Tutto ora è disteso.
Sono uomini innocui ma il mondo in cui crescono ha stimoli di varia natura, altri uomini tentano di comandare e subordinare al loro volere la Natura e quel Ventre Genitore: così i ghiacciai si ritirano, così le generazioni e le discendenze di teneri nascituri, sono trasformate in automi frenetici, esseri parlanti omologati ed incanalati in strade e vie tecnologiche, facce che si moltiplicano e si nascondono, riaffiorano e di nuovo si cancellano, come i dati in un computer.
I momenti di lieta e gaia armonia sono oramai ridotti a lembi di ricordi, resta l’ansia di essere riconosciuti da un sistema digitale e sociale impeccabile. Resta la paura di levarsi quei mantelli metallizzati, intessuti di microchip, capaci di segnalare ogni più piccolo movimento di pensiero. L’uomo può levarsi quei mantelli, ha bisogno di volontà.
Oppure viene inghiottito dai flutti di abissi costretti ad abbuffarsi di plastiche, di fruscii impuri, parole sporche, chiudendo infine gli occhi, in un nero che non è il buco misterioso e leggendario delle Galassie e di quel Ventre Genitore piangente, è il nero di un sacco rotto, dall’odore di petrolio.
Ma l’uomo può tornare alla Vita, può ricongiungersi al Ventre, a quella Fanciulla, a quella Eva e meritarsi di camminare nella Luce, nel Sorriso, in gesti piccoli, petali di Bene.
Il Mantello si può togliere, essere nudi è provare una nuova ebrezza di respiro. La luce creata dalla danza veste.
E quel legno ricurvo, il bastone piegato, che l’Uomo lancia verso un obbiettivo luminoso, torna con altrettanta energia risonante.
Si ringrazia il Teatro Giuditta Pasta e RBR Dance gli Illusionisti della Danza per una performance che è ben più di un viaggio onirico, ha il sapore di un’avventura nel Ventre della Terra e nel Pensiero della Fonte da cui tutto è nato.
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