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Il Virtuosismo scomposto in mille tasselli di Ungheria

da | Ott 20, 2020 | Arte & Teatro

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L’identità di un popolo viene incontro attraverso ballerini che tengono alto un foglio bianco e lo spezzano in tanti tasselli, creando coriandoli di Ungheria che giungono su un palco non ancora esplorato, quello italiano.

Sentirsi seduti ad un tavolo di legno, attorno altre seggiole, altri commensali che parlottano tra loro, in fondo alla stanza vi sono dei musici che iniziano ad abbozzare un dialogo singolare. Si assiste ad una conversazione che impressiona. Si sente la forza di una Terra, di un popolo nato da antichi saperi e tradizioni. Ed è bello evocare l’immagine della nascita di questo Paese: un falco, Turul, un uccello sacro che incontra Emese, nonna di Arpad, il padre fondatore dell’Ungheria che è legata così ad un destino intriso di magia, sacralità ed anche battaglie come la sua storia ci dimostra.

Turul è in quel violinista (Pàl Istvàn Szalonna), in quel suo braccio il cui inizio e fine si confondono con lo strumento ad arco. Cosa è legno e cosa è carne? E’ un tutt’uno! La bravura, la maestria trasfonde l’anima in corpo ed in corda di quell’archetto che vorrebbe saltare come scintilla. Invece resta, tiene il punto e si fa voce, rispondendo ai canti di una donna (Pàl Eszter). Ella rappresenta il crocevia dei Balcani, dell’Est, dell’Ungheria e delle Terre di Romania. Perché in quelle sillabe si sente il carisma e la personalità di tante donne.

Una taverna ungherese del 1700, un gruppetto di artisti per cui la musica è Vita, una cantante che introduce la magia dell’humus di una Terra in cui ballo e canti ne segnano l’identità.
C’è una finezza strutturata, un movimento del corpo che si allunga e si accorcia, e questo meccanismo trova una fluidità in tutta l’orchestra presente (Orchestra popolare del Hungarian State Folk Ensemble e Orchestra della Scala). Si susseguono Liszt e Bartòk. Entrambi tendono un invito lusingando con vivacità e sussurri. Un corteggiamento che trova il raccordo sinergico tra arco e voce, una rincorsa che assume i toni della tensione e della paura. C’è forza, carisma poi un momento di stacco, si passa a toni solenni e gravi: l’anima mostra tutte le sue protuberanze.
Il corteggiamento riprende con quell’aria frizzante e furba adatta ad un cinguettio focoso, accattivante e incalzante. Altri violini rispondono con un fare formale e altisonante.

In poco tempo ci troviamo a gustare una porzione di Dobos (dolce delizioso tipico ungherese) al Café Gerbeaud, caffetteriae e pasticceria storica di Budapest. L’eleganza diventa coccola. Veniamo sorpresi dallo scambio tra la signora aristocratica ed un giovane musicante. Lui gira il cucchiaio dopo aver assaggiato la famosa delicatezza di cioccolato e si fa portare dell’acqua frizzante. La signora accetterà quell’ardita avventura? Al Café Gerbeaud questo era concesso (o si tratta di una leggenda?) ed era tutto avvolto dal manto della discrezione. Torna il carattere di Listz amabile e attraente, il Listz uomo.

Tutto viene spogliato, un violino solista indossa un impermeabile (Radics Ferenc), una luce irrora l’atmosfera. Una ballerina con un candelabro gira intorno al musicista. Si snoda un rito, lo si celebra con devozione, riverenza. L’uomo con l’impermeabile ed il violino pone le fondamenta su cui il coro ed i ballerini costruiscono la solenne “funzione”. Ci sono pilastri dove verranno posti sulla sommità alcuni rami.

C’è un rito da celebrare ed un dialogo a cui dare vita. C’è una mano che si mostra, scende nelle profondità degli abissi, viene segnata e marcata da un chiodo e poi ritorna portando la luce di candele. Respiriamo le atmosfere bizantine. Ritroviamo un Abbà, un .

La mano si apre e scava, ci addentriamo in quella che è la ricerca di Bartòk, il recupero di tantissimi spiriti ed etnie, le arie che ricalcano popoli, credenze e religione. Vi è la perdita e la rinascita del corpo. Compaiono le note e le parole di speranza.

Ci vuole il movimento e ci vuole la passione di cuori che battono per una Terra densa, meravigliosa che ha fatto innamorare e che fa tutt’ora battere il cuore. Il ritmo è dettato dalle mani e dai piedi che seguono uno scoppiettio vibrante, impongono docilmente il loro vigore.
Tante creature leggendarie natie di terre impregnate di musiche e danze hanno permesso di realizzare una festa per rendere omaggio alla bellezza salvifica da ritrovare proprio in queste arti.

Ecco il messaggio di passato e presente dell’Hungarian State Folk Ensemble e di tutti gli artisti e spettatori che credono nello spirito dell’uomo, nelle radici da cui proviene.

Si ringrazia il Teatro Repower di Assago-Milano, l’Hungarian State Folk Ensemlbe, Szabò Marcell, Szent Efrè Choir, l’Orchestra della Scala di Milano e tutti gli artisti e coloro che hanno reso possibile tale momento denso di storia e bellezza.

erica g.

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