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Che disastro di commedia e l’umana esistenza

da | Mar 17, 2019 | Arte & Teatro | 0 commenti

Le luci sono ancora accese ma gli attori iniziano a recitare “che disastro di commedia“. Nessuno presta attenzione e tutti continuano a parlare. Un’attrice si reca nelle prime file e chiede un piccolo aiuto per la scenografia ad un signore: qualcuno ride, altri proseguono i loro discorsi, ancora ignari che la commedia è avviata. Un altro attore chiede insistentemente se qualcuno ha visto un cagnolino: serve per lo spettacolo e si è smarrito qualche istante prima.

La luce impedisce agli spettatori di comprendere questi istanti di comicità, di interazione, di preparazione all’avvio della storia. La luce oppure la mancanza di osservazione induce gli spettatori al chiacchiericcio?

O forse è la commedia stessa, sin dalle prime battute, ad incarnare quel disastro che riguarda in primis ogni attore presente e, in secondo luogo mostra prepotentemente la comicità “alla Charlie Chaplin”, dietro al cui sorriso c’è il dramma dell’umana esistenza.

L’umana esistenza con le sue richieste ed i suoi drammi, la capacità di farne una commedia e di sorriderne addirittura.

Ma in fondo è proprio in questa vita così strana e assurda, al pari di una commedia disastrosa, in cui si trova la bellezza o l’esatto suo opposto.

Questo è ciò che uno spettatore attento legge tra le righe di “Che disastro di commedia” (regia di Mark Bell, con la partecipazione di Gabriele Pignotta, Valerio di Benedetto, Stefania Autori, Viviana Colais, Alessandro Marverti, Luca Basile, Marco Zordan, Yaser Mohamed; per maggiori informazioni la pagina è al seguente link http://www.chedisastrodicommedia.it/).

Una visione differente da molti commenti e dalla semplice ilarità che chiaramente appare in superficie! Insomma, scenografie che cadono, battute improvvisate o dimenticate, la rabbia del produttore che vede la sua opera decadere, il tentativo comico di diventare attrice biascicando un copione che presto verrà sparpagliato come l’ascensore rotto, le chiavi viste come taccuino, il ritratto di un cane il quale incarna un avo, una mensola traballante e l’interpretazione di una morte così fallosa da essere derisa più con compassione che con leggerezza.

Un genere di leggerezza e di storia che rientra certamente nei canoni della commedia ma, badare ai dettagli ed alle minuzie, è utile. Dietro a questo racconto brillante c’è un dramma.

Si potrebbe definire una commedia-clown!

Al di là del trucco e del naso rosso, c’è una personalità autentica, spaventata da ciò che è ma terribilmente desiderosa di farsi conoscere. Sì, le scene cadono ed i tempi delle battute sono sballati, così come gli attori, così come ciascuno di noi nei frammenti di quotidianità. La bellezza e la riuscita della storia personale di attori e spettatori è sì riderne ma non è sufficiente! Riderne e proseguire, tentando di fare di più, con qualche grammo di ilarità e una buona dose della propria essenza, di sé stessi. E perché, no? Il naso rosso talvolta fa bene… al cuore dell’umana esistenza ci si può arrivare anche con la comicità!

Si ringrazia il Teatro Auditorio Cassano Magnago, il suo Direttore Maurizio Tosatti e lo staff di volontari.

Un caloroso augurio alla compagnia che ha permesso di arrivare a carpire aspetti così importanti con mezzi tanto inconsueti ed apprezzati.

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