
Teatro Parrocchiale di Cantello – 10 Settembre 2022 – “Tango di Perifieria” – una produzione di Teatro Blu – di e con Silvia Priori e Roberto Gerbolés – Ballerini: Angela Quacquarella e Mauro Rossi
Seduti su poltroncine per assistere ad una produzione originale, si ripercorrono storie e memorie ancestrali.
“Osservo il silenzio che entra, distribuito dapprima su due paia di gambe, successivamente quattro. Quattro gambe, otto piedi e l’immagine della mia nonnina, sprofondata nella propria comoda, intenta a lavorare con i ferri da maglia, attorniata dal lungo strascico dell’ennesima coperta patchwork. Sin da piccola chiedevo perché dovesse cucire così tante coperte, avevamo gli armadi traboccanti di lana! La sua risposta puntuale non tardava mai:
<Ah, se avessi visto quant’era tremante il tuo bisnonno una volta sceso dall’Angelica! Se avesse avuto almeno una coperta non si sarebbe preso la polmonite. Ha rischiato, sai? La mia povera mamma non sapeva più quali decotti rimediare! Ha dovuto rompere il salvadanaio e spendere fino all’ultimo centesimo per curarlo. Me la cantava questa frase, le poche volte che poteva venire a trovarmi da piccola; me la cantava mimando i movimenti dei ballerini di Tango. Mi ha dovuto dare via, sai? Il tuo bisnonno non ci credeva che fossi la sua bambina. Ma cosa ne sapeva lui di come funzionano certe cose, della Luna? Andava in Argentina, tornava, salpava di nuovo, si presentava dopo otto mesi e qualche settimana. Lui non contava le Lune. Anche questo mi cantava la mia mamma. Se avesse avuto una coperta forse non si sarebbe ammalato, la miseria non avrebbe intaccato come tarlo la nostra porta. Ed io sarei rimasta con loro. Invece andò in modo diverso. Lui in Argentina ci voleva portare tutti. Anche quando si è ripreso. Ma quella terra la conobbero solo i suoi occhi. La mia povera mamma morì quando ero ancora giovinetta. Mi sono rimaste le sue ninne nanne, i suoi ferri da maglia. Mi ha sempre ricordato di portare con me una coperta, mi aveva insegnato a cucire. Io ci andai in Argentina, con i signori che mi avevano cresciuta. Per loro facevo “la serva”. Erano tanto buoni. Potevo assistere alle lezioni dei professori che addirittura venivano in casa, per i loro figli. Ho imparato tanto. In Argentina invece, imparai pochissime cose, ma sono quelle che mi hanno fatto più bene. In una notte, in una milonga, mi hanno insegnato un ballo che si ostinavano a chiamare “Habanera“. La ballai con un argentino, lui conosceva le Lune. Ma da lui non potevo tornare. Avevo un accordo con i miei benefattori. Rimasi fedele a loro. Morii un poco. In Italia ci tornai non più leggera. Iniziai a fare un corredo piccino. Ma rimasi fedele a chi mi aveva cresciuta ed al bravo ragazzo che attendeva con una rosa. Mi chiamavo Angiolina, in memoria della nave capace di rapire il cuore di mio padre, cancellandomi ai suoi occhi. Ricordai le ninne nanne. Non potevo che chiamare tua madre Angela. Le cantammo così tante nenie. Mario, il mio Mario, sapeva la verità. Nelle storie di bimba, lo confidai al mio tesoro prezioso. Ogni tanto sentivo un moncherino. Angela crescendo, leniva e accentuava quel dolore. La conosci tua madre. Caliente. Il raggio di una notte. Il silenzio di un uomo e una donna che sul pavimento scrivono i pensieri. Come sarebbe stata la mia vita là? Dici che è ancora vivo? Ora su, raccontami di te, Luce, lasciami un po’ lavorare a maglia, questa coperta è per Te.>
Vedere quei due ballerini disegnare con braccia, piedi, occhi, le storie di come tutto è nato, non solo mi ha gettato nel turbinio di una ricerca senza pace, ha acceso il desiderio di ritrovare quel briciolo di identità.
Il desiderio di un abbraccio da troppo tempo mancato, agognato, sognato nei deliri grondanti di una pioggia che lava, scende sin nelle ossa. Il desio di un abbraccio universale. Un abbraccio che affonda nelle viscere, per trovare corpo e anima.
Ed ecco un’altra storia, anche questa vera, solo più tormentata, diffusa tra un passo ed un altro, inumidita da piccoli sorsi di vino. Una vicenda in cui c’è il coraggio, la speranza, l’angoscia, la follia, la vergogna, l’inafferrabile attimo d’amore salvifico che appare, ritorna, sugellando un legame eterno, nonostante la brutalità della miseria. Sono gli anni in cui in Argentina arrivano i “migranti”, italiani, polacchi, slavi, ebrei, europei, in cerca di fortuna.
Le grandi speranze però spesso sono abbattute. Ma dalle scivolate più clamorose, in cui si rischia di imbrigliarsi nella perdita perenne del proprio pudore, in cui si assiste all’invasione dei propri natali da parte di presunzioni egoiche e ricche, importazioni raffinate per “la prima classe”, culture che rivendicano un’origine marchiata sulla pelle, troviamo Cice e Maria. Un argentino appartenente alla classe di periferia di Buenos Aires. Una siciliana immigrata, con il cuore pieno di sogni e gli occhi colmi di bisogno.
Nella milonga si balla l’habanera, si cantano idee clandestine, si mescolano gli echi di popoli. In quelle coreografie, spinti dalla necessità di affermare il proprio briciolo di identità, Maria e Cice, sono i testimoni della nascita del Tango.
Nel Tango, il desiderio di un abbraccio da troppo tempo mancato, agognato, sognato nei deliri grondanti di una pioggia che lava, scende sin nelle ossa. Il desio di un abbraccio universale. Un abbraccio che affonda nelle viscere, per trovare corpo e anima.
Si ringraziano i dolcissimi ed energici Silvia Priori e Roberto Gerbolès di Teatro Blu; un caloroso ringraziamento ai ballerini professionali Angela Quacquarella e Mauro Rossi, intensi, al Comune di Cantello attento alla diffusione di Bellezza e Cultura. Per tutti gli altri appuntamenti consultate qui il calendario di Terra e Laghi Festival!
erica g.
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