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Rita Pelusio in “La Felicità di Emma”

da | Dic 12, 2024 | Arte & Teatro | 0 commenti

Teatro della Cooperativa |  La felicità di Emma liberamente ispirato al romanzo di Claudia Schreiber con Rita Pelusio regia Enrico Messina – testi e drammaturgia Domenico Ferrari, Enrico Messina, Rita Pelusio – produzione PEM Habitat Teatrali Piazzato Bianco – con il supporto di QUI e ORA Residenza Teatrale e la collaborazione di ARMAMAXA – Residenza Teatrale di Ceglie Messapica

Accade qualcosa, una perdita, un dolore, un dispiacere.

Si fa appello alla consapevolezza: serviranno pure a qualcosa i corsi di crescita interiore, il riconoscere gli schemi, individuarli e superarli! Eppure c’è qualcosa che accade che spezza il fiato, rompe gli accordi pazientemente raggiunti.

“Una settimana e tutto passa.”

“Il tempo darà forma al dolore.”

Frasi: il loro profilo è però tagliente, mortale. Sono pugnali.

In questo dolore non si sta fermi, si cerca un morbido cuscino su cui fiatare. Si cerca un’aria diversa da respirare, un silenzio lontano dalla frenesia. E poi accade. Qualcuno lo scrive, qualcuno lo legge, qualcuno lo vive consegnando un dono a chi lo osserva.

“La vita finisce, anzi no, si porta a compimento.

La parola fine è uno sparo,

 compimento suona di carezza”

Accade.

Una voce sottile di uno spaventapasseri che conosce ogni dettaglio, movimento e sguardo inizia a raccontare una storia. Parla con delicatezza, traccia le abitudini di chi si desta, fa delle cose durante il giorno, si addormenta alla sera. Lo spaventapasseri sta in piedi, sopra una ruota di gomma – probabilmente vecchi copertoni della Zundap di Emma, mai gettati in discarica?! -, ha un timbro gentile, un sussurro, come la brezza mite che sfiora delicatamente le spighe dei campi di mais. Le sue mani di paglia hanno l’odore della memoria. Chi ascolta quel che va dicendo, si appoggia al vecchio copertone, poco importa se i capelli sapranno di fieno: si ha bisogno di una storia, di sorseggiare una fiaba, di abitudini.

C’è Emma, una donna forte, libera e rude, abituata e costretta dalla vita all’assenza di un amore; per sopravvivere, alleva e macella i maiali, che lei stessa cresce e ama. All’apparenza Emma potrebbe passare per una “femmina” da fattoria, grezza, disordinata, cinica. Da bambina aveva altri sogni ma il nonno non ne permise nemmeno uno: cosa se ne faceva di una“femmina?! Meglio allevare le scrofe e i maiali, erano più redditizi. Il padre e la madre cosa le avevano trasmesso? Ancora non c’erano risposte. Forse la vera famiglia di Emma erano le mura della fattoria, i maiali, le scrofe, la Zundap. Quei sogni insperati erano cristallizzati nelle carezze di un rituale attraverso cui mandava avanti l’allevamento: bisogna darci un senso alla morte, ancor prima alla vita.

C’è Max, un uomo prigioniero di se stesso, delle sue abitudini, timoroso, che non ha mai trovato il coraggio di amare e che di vita davanti sa di non averne più̀. Diventa un ladro pensando di consegnare la propria anima al tempo, nessun contante potrà essere sufficiente dinanzi al consumarsi di quello che è il tragico snodarsi della vita. Il suo fare aristocratico si impunta e vacilla poco dopo essere approdato alla fattoria. Fiocchi d’avena, yogurt, tovaglietta inamidata: eppure il suo corpo dentro aveva già cominciato il processo di decomposizione. E quella Emma da dove spuntava?

Accade.

L’inizio della morte coincide con l’inizio della vita, vanno insieme, non c’è scampo. Ci sono solo le carezze che possono portare a compimento un processo nella sua continua rivoluzione. I corpi di Emma, di Max sono gli assi attorno a cui le emozioni, i sogni, i gesti ruotano andando a scontrarsi, a fondersi, a completarsi.

Emma è una donna capace di amore, di vestirsi con il pizzo bianco a tombolo, di avere a fianco qualcuno per creare i propri sogni.

Max è un uomo capace di amore, libero di passeggiare con la propria donna in una spiaggia dalle sabbie dorate, calde, senza più paure.

Accade.

In questa stessa parola c’è la fugacità del momento, dell’acchiappare il guizzo felice e appagante. C’è il distacco del corpo dal respiro. C’è un’isola dove passeggiare ed essere al confine tra amore e dubbio, tra la vita assieme alla morte e il respiro spezzato.

Di Emma, di Max, della fattoria, dei compaesani, dell’amico di infanzia di Emma, ne parla con il sorriso di chi accoglie la caducità delle stagioni, Rita Pelusio. Lei è il buon spaventapasseri, capace di raccontare quella fiaba su cui poggiare la testa e l’incredulità di sé stessi.

Rita Pelusio, una donna e artista straordinaria, con un carisma sorprendente che è un vero e proprio inno al dare significato al tempo in cui si vive e respira, icona dell’arte comica contemporanea, porta in scena il suo nuovo monologo liberamente ispirato al romanzo di Claudia Schreiber. Lo scopo è indagare con sublime intensità l’incontro (ed anche il confine) di amore morte. Rita ha profumato di grazia un tema crudo, angusto, per certi versi macabro. La genialità è stato proporlo a misura di quel fanciullo nascosto dentro ad ogni uomo, bisognoso di fiducia e di coraggio.

“La storia di una vita, la storia di Emma, la storia in cui ognuno di noi può riconoscere il proprio ‘pezzo d’amore’. Una storia raccontata con pudore. Uno spettacolo potente e affilato, come una lama, delicato e caldo, come una carezza.”

Questo progetto nasce dal desiderio profondo di Rita Pelusio, Domenico Ferrari ed Enrico Messina di affrontare un tema delicato, facendolo diventare poesia, ironia.

Da Martedì 10 a Domenica 15 Dicembre presso il Teatro della Cooperativa in Via Hermada, 8 – Milano

Si ringrazia Rita Pelusio, Silvia Gandolfi, il Teatro della Cooperativa. Per le foto Crediti a gianni-giacovelli e silvia-varrani

erica g

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