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Puccini & Turandot: personaggi in cerca di Amore

da | Set 4, 2024 | Arte & Teatro | 0 commenti

Turandot
Varese – Giardini Estensi – 30 Agosto 2024 | Turandot nel Centenario della morte di Giacomo Puccini | Direttore d’Orchestra e Maestro Concertatore (Coro dell’Opera di Parma) Stefano Giaroli – Direttrice Artistica e Regia Serena Nardi

Le genti giungono, è già terminato il crepuscolo, le luci ormai si affievoliscono lasciando il posto alle lanterne cinesi che si intravedono in lontananza, i mandarini di corte si affrettano per dare ordine di accenderli. Pensare che questi oggetti oltre a simboleggiare un messaggio di augurio, hanno il potere di recare fortuna al luogo in cui vengono affissi, potendo addirittura scacciare gli spiriti maligni.

C’è la brezza, la notte arriverà fresca, si prende posto poiché un editto va ascoltato. Si affievoliscono le voci, è ora di iniziare. L’incanto dei giardini è un sospiro sospeso, le acque dei laghetti sono silenziose, mute, anch’esse chete. Dal vialetto, camminando sulla passerella posata lungo il diametro della fontana principale, emerge un mandarino e il divino imperatore.

“Popolo di Pekino!
La legge è questa: Turandot la Pura,
sposa sarà di chi, di sangue regio,
spieghi i tre enigmi ch’ella proporrà.
Ma chi affronta il cimento e vinto resta,
porga alla scure la superba testa!”

Si avverte la tensione, l’agitazione concitata espressa dalle voci del coro, dagli occhi lucenti di un dragone statuario che osserva, benevolo, creatore immortale, presente dalla notte dei tempi, trasversale divina ispirazione. Tra la folla un grido di aiuto, un vecchio è caduto. Una giovane scruta gli occhi di tutti, solo uno si ferma, un forestiero, il figlio di quel vecchio. I tre si ricongiungono.

Giacomo Puccini scegliendo di musicare la storia di Turandot, prende la decisione di dare vita, alito a personaggi archetipici; d’altronde l’inizio stesso dell’opera profuma di fiaba. Ed è dalla trasposizione fiabesca di Carlo Gozzi/Friedrich Schiller – egli a sua volta recupera precedenti versioni, benché una figura femminile storica simile negli atteggiamenti a Turandot, sia veramente esistita! – che Puccini scrive le note conosciute in tutto il mondo della Principessa di Gelo.

Le eroine pucciniane, incarnate nelle due figure chiave attive in una Pechino da favola, Liù e Turandot, sottopongono il dilemma di ogni tempo: ma che cos’è questa cosa chiamata “Amore”? Da questa domanda si diramano le dinamiche personali di ogni soggetto coinvolto nella storia.

Timur, vecchio re spodestato, rimasto cieco in battaglia, esiliato. Un uomo che vuole ritrovare il figlio e sé stesso. Un uomo perduto nel biancore che non consente più di vedere. Un re senza corona che si mette a cercare, pellegrino, la propria nobiltà, il proprio Graal (Puccini è permeato dalle opere di Wagner, ne si sente l’influsso in più occasioni). Ritrova il figlio, insiste perché il Principe dimentichi in fretta quel folle amore peraltro incomprensibile ai sensi canuti e inveterati.

Liù, schiava fedele di Timur, innamorata segretamente del Principe Calaf, sceglie l’amore che sacrifica, si fa martire per il proprio uomo. Il suo sentimento è sponsale nei confronti di Calaf, filiale verso il vecchio Timur. Il re seppur cieco comprende la nobiltà della piccola Liù, capace di mescolarsi tra la gente, essere vincastro per i deboli, accogliere il passaggio della tortura e della morte per la vita. Liù sa rendersi freccia affilata negli occhi di Turandot: lo stesso pugnale che le mani delicate e sicure di Liù usano per frantumare il proprio cuore incapace di tacere oltre, riesce a creare delle piccole crepe nello sguardo glaciale della Principessa.

Lìù, piccolo cuore che non cade, confessa spirando l’amore per Calaf.

Tanto amore segreto e inconfessato,
grande così che questi strazi son
dolcezze per me, perché ne faccio dono
al mio Signore…
Perché, tacendo, io gli do,
gli do il tuo amore…
Te gli do, principessa, e perdo tutto! […]

Sì, principessa, ascoltami!
Tu che di gel sei cinta,
da tanta fiamma vinta,
l’amerai anche tu!…
Prima di questa aurora
io chiudo stanca gli occhi,
perché egli vinca ancora…
Per non vederlo più!
Prima di questa aurora
io chiudo stanca gli occhi,
per non vederlo più!

Turandot, Principessa di Ghiaccio, discendente d’una regnante dolce, serena e pura, vittima di un uomo violento, accoglie in sé l’onta subita, condanna il genere senza esclusioni, in un atteggiamento misandro, supplicando il padre, il divino imperatore nell’assecondare il suo desiderio. Turandot, “tutta una cosa argentea, impassibile come Luna” sottopone tre enigmi.

  • Ed ogni notte nasce
    ed ogni giorno muore![…]
  • Se ti perdi o trapassi, si raffredda.
    Se sogni la conquista, avvampa!
    […]
  • Se libero ti vuol, ti fa più servo!
    Se per servo t’accetta, ti fa Re!
    […]

Calaf, Principe nel nome e nelle membra, chiude Amore nel mistero, lo consegna alle ombre della notte, lo porta sino all’alba. E’ un forestiero, folgorato dalla bellezza e dalla granitica emanazione di Turandot. Calaf, figlio perduto, amico che cede ai sorrisi, furore in battaglia, si adombra di luci e di ombre pur di esprimere e “possedere” quell’Amore che è riscatto, perdono, redenzione, comunione estatica che vuole far convogliare in un bacio sulla bocca di Turandot, il bacio che è Graal (tornando a dei riferimenti che accomunano il Tristano di Wagner a elementi pucciniani). Calaf non può esimersi però dalla rabbia e dall’odio che possono essere trasmutati dal gesto di Liù.

La Folla presente ai Giardini di Varese, assieme al Coro dell’Opera di Parma, nella semplicità di una cornice snella, elegante, colma di riferimenti alla tradizione cinese, ascolta la voce di Turandot, penetrante, inscindibile, chirurgica come fusi di ghiaccio.

La Folla è inebriata dal Nessun Dorma, tanto che necessita di una replica, vuole vegliare, vuole scuotere chiunque non creda ai sogni, all’Amore, vuole nascondere Calaf pur di conservare il segreto.

La Folla è commossa dalla carità, dall’animo colmo di misericordia, pathos e agape di Liù. Ed è lì, con gli occhi ad abbracciarla mentre si accascia.

Gli occhi sono il filo conduttore dell’opera pucciniana. Parlano, amano, uccidono, feriscono, perdonano, custodiscono, risorgono. Occhi che chiudono altri occhi. La Folla mesta, colpita, si unisce alla preghiera del Coro

Liù, bontà, perdona!…
Liù, bontà, Liù, dolcezza,
dormi, oblia!
Liù! Poesia!

Puccini lascia incompiuta l’opera, la Morte sopraggiunge, un altro indizio, ulteriori enigmi. In fondo quando donne e uomini riescono a essere definitivi nei confronti dell’Amore?

Si ringrazia per la sua profondità e sensibilità Serena Nardi, Giorni Dispari Teatro, Varese Estense Festival Menotti, Orchestra Sinfonica Menotti, Coro dell’Opera Lirica di Parma, tutti gli enti e le istituzioni che hanno contribuito a realizzare la Turandot, tutti gli artisti tra cui Renata Campanella, Diego Cavazzin, Scilla Cristiano, Massimiliano Catellani

erica g

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