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Marta Ossoli – declinazioni di femminilità

da | Nov 16, 2022 | Arte & Teatro | 0 commenti

15 Novembre 2022 | Martedì culturali del Concordia MAC (Circolo Culturale Concordia) | Cinisello Balsamo | Marta Ossoli in “Noi leggevano un giorno per diletto”

Nella mente emergono due immagini fortissime, persistenti, quasi si prendono a pugni per essere messe in rilievo, quali sono?

Mi prendo la testa tra le mani, le dita tra i capelli e comprendo l’urgenza di portarle al banco dei pegni questi fotogrammi urlanti, impertinenti, capaci dapprima di blandirmi con un sorriso, nella placida atmosfera di un circolo la cui anima serpeggia furtiva tra le gambe di sedie e tavolini.

Liquori, bottiglie ordinate, si possono indovinare i gusti della clientela, misurandone la pienezza. I colli di amari, gin, digestivi, puliti, senza un granello di polvere.

Ah, ecco, le sedie già disposte, il leggio ed il microfono, la cassa da cui si diffonderanno onde sonore per accendere gli stimoli stuzzicando nervi, sinapsi, avviando quel processo per cui avevo preso solo un “18” scarso in fisiologia cellulare.

Niente, ancora! Le immagini mi perseguitano, datemi il tempo, concedetemi di badare al quadro appeso alla parete, raffigura uomini, pensionati o lavoratori diventati aridi di parole, attaccati al mazzo di carte nascosto nelle tasche, sorrette da bretelle. Non vedo la pipa, non si usa più? Baffi, cappelli da caccia, berretti da bottegai, occhiali il cui spessore rivela la data di produzione. Il sapore rustico, palpabile già osservando le ordinazioni dei presenti, preparate su occhiate tacite tra proprietari e clienti. In questa degustazione, che spezza divertendo l’attesa, nel mio volto sento le fasce muscolari sorridere.

Nella sera umida d’autunno, mi appresto come fuscello di un canneto, ad udire le voci di oracoli, calandosi nel cerchio aperto dalla parola dialettale, veicolata da una Donna, di velluto scuro vestita, capace di assorbire i suoni di geni, poeti, domestiche, cantautori, partigiane, resistenti, amanti, e restituirli tutti, uno dopo l’altro, spregiudicata fonte di Verità e dolcissima.

Il nero assorbe tutto, si sa, è potente, egli sa quale potere gli è concesso. Nel nero si trovano pure le luci. Salgono, da quel cervello che non è nella mente, e lo sa, Lei, questa Donna piena, completa, formata nella declinazione di ogni posa, addirittura anulare e mignolo, si stagliano sulla parete dove è ospitato il quadro, pronti ad essere impressi su di una tela. Ma non era presente un pittore.

L’artista è la Parola!

Questa voce, guida di ogni figura interpretata nelle movenze, nelle alternanze foniche, mostra non un coro, non un’assemblea, non un raduno, non un miscuglio sviscerato da scelte letterarie. La voce di Pandora (Marta Ossoli) nasce, vive, si riproduce e muore ad ogni invocazione. Il seme che lascia, perpetuamente, ripete il prodigio.

Ed ecco la prima immagine, sì ora ti rendo nota, Cuspide!

Hai fatto capolino dopo che Lucia si è presentata nel suo monologo dialettale dai tratti comici, con punte realistiche, tangenti un quotidiano sarcasmo verso uno spaccato frequente, non solo nei paesotti di provincia, persino in dimore signorile dei quartieri alti delle città. Dapprima non ti ho riconosciuto, mi tradiva la prospettiva suadente delle “piccole cose che amo di te”, il gesto lento della mano, le confidenze sui capelli, sul tuo respiro, l’odore di pipa – finalmente, ti ho scoperto! – , il buffo gilet… Poi ti mostri, inizi a farti conoscere, Cuspide, cominci a stuzzicare, fai diminuire il sorriso, descrivendo il sorriso beota, l’appellativo sprezzante, gli odori impestanti. Sono ancora quelle medesime piccole cose che amo di te.* [*Le piccole cose che amo di te – Stefano Benni]

Comincio ad apprezzare il compito di questa Cuspide: mi ha lasciato credere alla semplice ilarità, mascherata dagli accenti nostrani. Non mi ha trovato impreparata, l’intuito mi porta a consegnare a Pandora la piena fiducia verso la profondità che volta per volta mi fa conoscere. La sua voce, il suo sguardo sono mani protese, le stesse che Dante ha trovato in Virgilio.

Ebbene, nel giorno affoghino pure i sogni, il viaggio che si va a fare è imbevuto di notturno. Una consolazione, inestimabile il suo valore. Esattamente come il verificarsi di un evento: <nel mondo esistono due tipi di uomini che incrociano la strada di una donna, l’uno è colui che amo / l’altro colui che mi ama. Una volta ogni cent’anni può succedere /che essi si fondano in uno. >** [** “Ci sono uomini nel mondo” – di Tove Ditlevsen]

Quando accade tale miracolo? Dimmelo Cuspide, introspettiva, abile nel farmi sanguinare gocciole di lacrime da ogni poro. Giulietta, amata e non goduta nel suo palazzo d’amore da chi l’ha acquistata [Atto terzo – Scena Seconda – Giardino dei Capuleti – Romeo e Giulietta, Shakespeare], Francesca dannata insieme a Paolo per aver ceduto <all’amor c’ha nullo amato amar perdona.>

Un libro fu galeotto ma in questo notturno lo sono le donne, spesso dipinte come eroine. Sì, lo sono, poiché capaci di essere sé stesse, azzardandosi di essere sé stesse, pazze, folli, innamorate, guardinghe, amareggiate, cortigiane, sincere, maliziose, autentiche, disperatamente se stesse.

Quante volte la mano nei ricci / t’ho passato/ e l’ossa nell’amore / quante volte t’ho contato? [Giovanni Testori da “L’amore”, Feltrinelli, Milano, 1968]

Questo amore per cui la donna lascia, rimanendo strozzata nella voce e negli occhi che mai più potranno mirare l’amato, produce un vuoto.

Si inerpica l’abisso, Cuspide, dove vuoi farmi arrivare? Non conosco tecniche di apnea, se la tua intenzione è di tenermi aggrovigliata e inglobata nei bivi perversi di cuori di donne!

Ancora una volta tengo stretta la fede in Pandora. Dalla sua preziosa otre è vero vi è

  • la pazzia di fagocitare, nutrendosi di Tonino, rendendosi conto dell’inutilità di un gesto grottesco, macabro. [Monologo tratto dall’opera teatrale – Anna Cappelli di Annibale Ruccello (1986, pp 106-108)]
  • l’uomo con il petto villoso come le aquile, il rostro che ferisce e punisce, gli basta un sorriso per far tornare la fioritura e la bianca luna. [parafrasando Alda Merini – dalla raccolta “Il canto ferito”]
  • la Redenta che mira lo <striminzito, il pezzo di fesa continuava a starle davanti, quasi fosse il simbolo di ciò cui, dài e dài, l’intera umanità, prima o poi, si sarebbe ridotta.> [Giovanni Testori]

Ecco, infine l’ancora gettata da Pandora, la presa salda e la risalita vigorosa:

Chiamalo amore o chiamalo niente / anche se non lo hai capito, anche se non l’ho detto, chiamalo amore, chiamami amore [parafrasando Ciamel ammur – Davide Van De Sfroos]

“amore cieco,
vieni su me,
in me,
coprimi, neve,
luce, benda cercata,
benda disperata.” [Da Giovanni Testori, XVIII, L’amore]

Ed infine nel notturno viaggio, i lampioni omaggiano le stelle festose udendo Shakespeare, imprimendosi nelle pupille sognanti

Ma la tua eterna estate non sfiorirà,

poiché tu cresci nel tempo in versi eterni.
Finché uomini respireranno e occhi vedranno,
vivranno questi miei versi, e daranno vita a te. [dal Sonetto 29 William Shakespeare]

Ora posso parlare anche di te, mio secondo tormento caro, ti sei palesata sul finire della serata, quando i muscoli da sorridenti a meditabondi, si sono racchiusi in una concentrata tensione. Hai il viso di una maschera circense, completamente bianca, eccetto il berretto, gli occhi, le labbra, le narici, le sopracciglia nere. Ed una singola lacrima, sulla guancia destra, anch’essa nera.

Eppure hai guadagnato una stella, sei un poco felice? Sai, in fondo che sia noir o comico, bianco o nero, è amore ciò che hai udito, chiamalo come vuoi!

Si ringrazia, omaggiando con profonda ammirazione, Marta Ossoli; si ringraziano per l’accoglienza Il Circolo Culturale Concordia, Edoardo Visentin.

erica g.

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