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La Divina Commedia: il cammino che rapisce l’anima

da | Set 14, 2022 | Arte & Teatro

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Corsico 12 Settembre 2022 – “Dante: L’Inferno” – Reading Teatrale con Marta Ossoli, Mino Francesco ManniViolino di Silvia Mangiarotti

Rapimento, catarsi, vacillare, lasciarsi fagocitare.

Un respiro, poi il buio, un fremito per riuscire ad afferrare almeno qualche molecola d’aria, grumi di vapore, così da offrire, mendicanti, un poco di pietà. Un singulto, suoni che assumono la forma di tenaglie, strani ferri, aguzzini, le dita, tremanti, i volti deturpati, visioni reali, crude, capaci di accendere il ghiaccio magnetico verso le proprie labbra, intirizzite, paralizzate, balbuzienti.

Un respiro, una mano lieve.

Non è un delirio, non è un incubo, è l’inizio di un viaggio che conviene tenere. Così dice il Poeta. Così nei tremori, nei brividi, nelle gobbe, si sente il bisogno di affermare una fragile volontà. Scricchiola. Nello sgomento la necessità di chinare il capo, ancor prima il cuore, verso un Mentore. Per questo viaggio doloroso è necessario incamminarsi.

Lampi di dolcezza laddove regna il purulento e agonizzante grido. Invocazioni deliranti, febbri appassionate, quasi mistiche, intensificate all’avvicinarsi verso il fulcro del mostruoso Leviatano.
Lampi nel cielo che assisteva silente, sostenitore paziente, di due voci ed un arco. C’erano stelle? Com’era fatto l’aere? Vi era il Poeta tra quei comuni visi? Quotidiani passaggi, usci illuminati a giorno, rumori domestici impercettibili: dotti o ignari di quanto accadeva?

Ma pur io, con la condotta che mi ritrovavo soggetta a trascendere verso stati più profondi, scossa, frastornata sebbene conservatrice di una ragione inspiegabile. I molti studi, gli innumerevoli allenamenti, gli esercizi di dizione, l’applicazione di un rigoroso metodo, l’insonnia notturna per domandare agli Avi, ai non viventi, alle guardie dei musei quella chiave volta a comprendere l’intelligenza del buon Dante, del suo volgare fiorentino. Nulla, la gola era sempre arsa. Fino a che l’inimmaginabile accadde.

Il miracolo, il mistero, la Fede.

L’inganno di Ulisse, il tradimento fattosi sangue lacrimante negli occhi scavati di Ugolino, l’apnea paralizzante nello sguardo di Acheronte, la bellezza di Elena, scomposta nel mosaico scalpitante e condannato del suo cuore nutrito di ossimori.

Fino a quando si credeva di poter discernere ciascun endecasillabo, collegandolo ai più sottili indizi?

Fino ad una notte in cui al nero si concesse la porpora, innocente, timorosa, ingenua, dalla pelle d’avorio. I colori si mescolano, basta un vettore, un veicolo, un appiglio, la condanna d’un amore ladro, un abominio pronto a screditare il legittimo possessore, attecchisce, è fecondo, concepisce e sofferente si lascia uccidere.

Ma quelle dita tinte di porpora vagano unite e piangenti, quasi appartengano a pie membra, alle misteriose e amanti compagne. In Francesca si conosce la potenza di una donna rea, resa cieca verso qualsiasi sinusoide di pace. Si nota l’abisso di disperazione: senza remora, la eleva e la afferma come figura a quella madre che non avrebbe mai potuto essere, a quella sposa mancata. Un libro, la condanna di quei due afflitti.
La carezza sospesa di Francesca, spazzata via dal correre delle fiamme, dagli eccessi di altri agonizzanti. Rapiti i sensi, storditi in un sentimento di ferma pietà. Il sapore del sale e della cenere. Di questo sapevano le lacrime.

Dante, Virgilio, venuti in una tarda sera estiva. Onde che inzuppano l’orlo del mantello. Echeggiano i passi del Sacro Libro, le invocazioni di un padre dannato verso Abramo che perentorio risponde: “hanno i profeti, ascoltino loro“. Ed ancora, la donna spregiudicata e folle accorsa verso il Sacro Mantello. In una tarda sera d’estate sono Dante, Virgilio, Francesca e i disegni dei gironi viziosi, perduti, insanabili a lambire le corde di uno spirito e di qualche arto errante.

Le stesse corde pizzicate con cruda maestria per sostenere le grida di condanna, le insolenze dei peccati, l’agghiacciante gogna.

Le medesime corde toccate con affanno e inerte cadenza, il destino immutabile scritto, rinnovato secondo dopo secondo, fino a perdere senno e pazzia, crogiolandosi nella vegetale agonia.

Eppure quelle corde, dopo sentieri, turbinii di tornado e tornanti, conobbero la dolcezza di polpastrelli generosi, caritatevoli nell’offrire un unguento di speranza. Esattamente così scivolarono quei crini sulla tavola armonica di un violino, estensore e amplificatore delle pause, del silenzio e dei gaudi tormenti di chi va in cerca del respiro.

E finalmente uscimmo a rivedere le stelle, finalmente questo rapimento estatico conobbe la Luna.

Si ringrazia con ammirazione Marta Ossoli (Pandora moderna per la sua interpretazione universale di personalità così intense e segnate da emozioni forti e controverse), Mino Francesco Manni (il cui passo interpretativo conduce al mistero di riflessione introspettiva, volta a rivelare il profondo, tormentato “io”), Silvia Mangiarotti per l’esecuzione di suoni che incarnavano il pensiero di Dante, di Virgilio e di ogni protagonista citato, nel suo dolore ed infine nella speranza, si ringrazia il Comune di Corsico.

erica g.

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