Elena Dak: bella!
Non c’è nessun altro aggettivo che possa eguagliare questa Donna, seppur sia un termine corrente e forse banale. Una proposizione che prendo in prestito da Elena stessa che impiega il vocabolo per riferirsi ad una città meravigliosa, Sana’a, capitale dello Yemen.
La conversazione con Elena non poteva non essere accompagnata dall’ascolto di Lei, nella sua figura ricca di eleganza e raffinatezza. La voce rivela una grande maturazione, un’esperienza forgiata dai passi – nel senso strettamente letterale – e anche dal saper fermarsi. Ponendosi con tutti i sensi dinanzi alla sua testimonianza che apre scorci difficilmente raggiungibili con altri mezzi, la prima parola che è balzata nella mente dopo la condivisione di Elena Dak è stata proprio “bella”.
Un cappello introduttivo estetico sembrerebbe ma doveroso. Di persone se ne incontrano veramente tante ma quante hanno la grazia e il potere di penetrare, lasciando un pezzo di sé? Ecco, Elena è una di queste. La cagione non posso che riferirla al luogo in cui è nata e forse, da lì, tutto è iniziato, da Venezia.
Così, la bellezza, la multiculturalità, l’estetica, il senso del viaggio, la storia di questa Repubblica Marinara, si insinuano nella piccola. Elena risiede però a Mestre. Ciononostante, Venezia la conosce e la fa propria grazie alla Tata originaria della città delle Calli, che si rivolge a lei nel tipico dialetto. In più, ogni momento importante della sua vita è legato intrinsecamente alla meraviglia che è questa città.
Questa luce, unita all’ambizione di Elena di conquistare nuovi traguardi dà accesso al pieno potenziale di questa donna appassionata. Conosce le lingue ma non ha esperienza, deve costruire il quotidiano, o meglio ri-costruire. Kel12 ha investito su di lei, iniziando ad affiancarla ad altre guide turistiche per i viaggi e le spedizioni all’estero. Elena non compie i viaggi classici, arriva a gestire spedizioni in terre come il deserto del Sahara, Libia, Yemen. Si destreggia tra tende, jeep, coordinazione logistica e culturale. I gruppi con cui viaggia sono necessariamente piccoli.
La formazione da antropologa è quel valore aggiunto che le dà la garanzia di congiungere luoghi, cultura e scopi dei viaggi. Lo sperimenta su di sé e lo trasferisce a chi si trova con lei. Individua compromessi quando alcuni contesti richiedono di mediare esigenze professionali ed esigenze culturali ma non prova mai paura. Alcune realtà sono complesse, meno facili, ma il tempo allena, le abitudini si consolidano, l’obbiettivo è sempre il pieno rispetto della diversità altrui, del ruolo della donna in Paesi lontani dalla mentalità occidentale.
Elena viaggia, sia per lavoro che per gli studi antropologici. Viaggia e cammina spesso con i nomadi. Rammenta la figura di Fanne, durante il viaggio con i Pastori del Chad, moglie e madre in una famiglia che l’ha ospitata. L’impressione che resta nel cuore di Elena è che Fanne non è mai stanca e rassegnata, la sua dedizione quotidiana, le impone di essere sì sottomessa al contesto di regole e, al tempo stesso restituisce una forza potente, da protagonista indiscussa in virtù del ruolo che riveste.
Di un’altra donna invece, serba il nome e la figura nel cuore, non c’è stato modo di coltivare l’amicizia. Una donna, lavoratrice presso la torre di saline dell’Isola di Socotra – un mestiere esclusivamente femminile – che, contro la volontà e la rigidità delle regole, accoglie e ospita Elena.
Elena, disciplinata e attenta a raccoglie tutte le informazioni che i suoi sensi percepiscono, quante volte preferisce lasciare la macchina fotografica nella stanzetta del suo alberghetto, perché la fotografia non renderebbe affatto ciò che il proprio sé aperto e ricettivo può apprendere?
Il suo quotidiano si muove su quatto binari:
- è guida nei viaggi,
- porta avanti la ricerca antropologica,
- si dedica alla scrittura dei suoi libri e per le riviste “Africa” e “Erodoto108“,
- insegna, tiene lezioni seminari e corsi.
Definirli binari è abbastanza improprio, sono attività che naturalmente trovano intersezioni e si complementano l’una con l’altra.
Lo studio è alla base di tutto.
Elena ricorda la frase chiave del primo colloquio con il titolare veneziano di Kel12 “Ti ga voia de studiar?”.
Elena si rende conto che la sua vita è bella, davvero, ma non dimentica neppure lo sforzo, l’energia ed il tempo impiegati – impossibile enumerarne le ore! – per essere aggiornata, arricchirsi e arricchire a sua volta. Viaggiare è studiare, lo studio è lo zoccolo che sostiene la sua vita, un pilastro imprescindibile che permette di mettere in gioco l’essere dubbiosa e rigorosa, le chiavi inglesi del sapere che è un’attività infinita. Un sapere fresco e aggiornato vedrà sempre la necessità di rabboccare il bicchiere perché sia un calice di nutrimento rinvigorente. Questa necessità è fatta di attività e passività. In alcuni momenti Elena si mette in ascolto delle città, della natura, come spesso le è accaduto a Sana ‘a. Si lascia travolgere, stordire dalla bellezza, dall’imponenza di questa Venezia d’Oriente, una immagine che viene sottolineata più volte da Pasolini.
Come sarebbe stato scoprire Sana’a e lo Yemen con il grande poeta?
Ascoltando la saggezza, la varietà di vocaboli, la sintassi di emozioni che scivolano da Elena a me, all’interlocutore, viviamo la magnificenza e, purtroppo, lo sfacelo di questa città, colpita dalla guerra.
Come in “Le mille e una notte”, anche Sana ‘a e lo Yemen stanno attraversando il buio, l’ombra e l’oscurità di certi tratti. Ogni giorno però le preghiere intonate dal muezzin, si elevano.
C’è Marco, un italiano, figlio dell’ultimo sceicco di Sana ‘a, che affida ad Elena le pieghe di questo straordinario paese; Marco è un uomo sfuggente, quasi un genio che sa tradurre la bellezza in concretezza, questo incanto lo consegna al cuore di questa Donna appassionata, un’antropologa raffinata che chiede alla scrittura il miracolo, mediante la sua penna.
C’è Hakima, una donna, un’amica per Elena, che affida la distruzione di Sana ‘a. Elena incontra Hakima in uno dei suoi momenti di riflessione presso un muretto di sassi. Hakima volge un saluto in francese, nessuna delle due è francofona. Inizia un’amicizia che continua tutt’oggi. Hakima le affida anche i pensieri, i semi, i simboli di speranza. Una casa torre (Sana ‘à è una città turrita, caratterizzata dalla presenza, lungo la verticalità delle pareti, di finestrelle a mezza luna – Qamaria in gergo-) vicino alla sua è distrutta da una bomba. I suoi figli sono vivi, lei e la sua famiglia sono vivi. Quando si vedrà ancora la luce della pace filtrare dalle finestrelle di alabastro?
Parafrasando Magris, Elena Dak è un passante, appunto passando lungo la strada, i suoi passi frantumano quella zolla di terreno, appena la lasciano, si ricompone, conservandone nella memoria, la bellezza di una donna che è in ascolto costante delle forme della natura, si spende per custodirne e trasmetterne la meraviglia, l’incanto e con rammarico, talvolta, la distruzione.
Concludo così la chiacchierata con Elena Dak, citando con commozione Pasolini, per lei cruciale.
Ringrazio questa Donna straordinaria e bella per la condivisione e per aver accettato e accolto i miei passi che una volontà “oltre” ha portato ad intersecarsi con i suoi. La ringrazio con il saluto tipico orientale, le mani giunte al petto!
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