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Mille volti della ricerca scientifica tra passione e precarietà

da | Ott 2, 2018 | Nel quotidiano | 0 commenti

La ricerca scientifica riveste un’importanza fondamentale specie in quello che oggi è chiamato approccio traslazionale: dai risultati dei laboratori si apre la strada alla terapia sul paziente, con l’obbiettivo di raffinare sempre di più le cure ed incrementare la qualità della vita.

Quello che però manca in questo approccio è considerare il punto di partenza dei test diagnostici, degli approcci terapeutici effettuati sul paziente, dei risultati delle pubblicazioni scientifiche, dell’applicazione di protocolli procedurali. Stiamo parlando dei ricercatori e delle ricercatrici che ogni giorno, al mattino presto, si recano nei propri laboratori per testare ipotesi, provare interazioni, preparare un meeting tra gruppi di ricerca, fare ordini per il materiale necessario… e tutto questo sino a sera! Sono ombre della ricerca di cui poco si conosce. Ma la divulgazione scientifica riguarda anche e soprattutto loro con gli obbiettivi raggiunti, le possibilità che si aprono di fronte ad un esperimento che apparentemente non è riuscito, la descrizione di un approccio che può finalmente essere testato sui pazienti, dopo anni di ricerca. Riguarda loro per la caratteristica univoca che contraddistingue ed accomuna ogni gesto che portano a compimento: la passione!

Prima di analizzare la posizione sempre più nebbiosa per molti ricercatori è bene portare qualche esempio su come effettivamente la ricerca influenzi positivamente la quotidianità. Infatti, molti test e screening oggi presenti, derivano dagli studi e dai risultati (positivi e/o negativi) condotti nei laboratori di ricerca scientifici.

  • L’esame della villocentesi rientra nelle pratiche di diagnostica invasiva su donne in attesa che abbiano problematiche tali da svolgere esami di questo tipo. Le procedure sono standardizzate (il rischio correlato alla perdita fetale è sensibilmente diminuito) e comunque, la villocentesi è consigliata valutando caso per caso. Con essa si possono stabilire malattie genetiche, anomalie cromosomiche del futuro nascituro sulla base dei dati in possesso da precedenti test. Il campione prelevato è inviato al laboratorio dove è possibile indagare sul cariotipo fetale (numero e struttura dei cromosomi) ed analizzare con maggior dettaglio grazie a tecniche più recenti quali il microarray (i cromosomi vengono praticamente “scansionati” per avere informazioni più sensibili e accurate).
  • I test di screening, test diagnostici ed esami in genere consentono di determinare malattie del feto ed anomalie che porterebbero a conseguenze drammatiche per la futura mamma e la coppia: grazie ai dati e risultati ottenuti è possibile effettuare interventi sul feto ancora in utero (chirurgia fetale).

Queste informazioni danno l’idea che senza ricerca le valutazioni sul benessere del futuro nascituro e della futura mamma non sarebbero più possibili. Non ci sarebbero screening, informazioni sul da farsi in presenza di malattie o malformazioni. Non ci sarebbe la possibilità di conoscere i pericoli e poter porre rimedio almeno a quelli risolvibili. Senza ricerca la diagnostica e parte del futuro diventerebbe un terreno arido.

Ritornando ad una delle sfaccettature più critiche ed impervie della ricerca scientifica, i ricercatori e le ricercatrici purtroppo, non sono pienamente riconosciuti né da un punto di vista “umano” (la società e le istituzioni comprendono il loro vero valore?) né da un punto di vista “normativo” (il loro inquadramento è appeso ad un equilibrio sottilissimo). Questa posizione vuole comunicare ciò che sta accadendo in questi giorni su un tema che da sempre riguarda i ricercatori: la precarietà.

Una voce sta salendo e sta crescendo di forza dalle mura del Policlinico di Milano (Fondazione IRCSS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico) che riveste un ruolo di primaria importanza essendo il primo Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico di natura pubblica in Italia e si posiziona come primo per livello di pubblicazioni scientifiche.  Un tesoro inestimabile che però viene oscurato dalle decisioni che in questi giorni si stanno prendendo: la legge Bilancio 2017 voluta dall’allora Ministro della Salute Lorenzin prometteva di introdurre la figura professionale del ricercatore tramite un percorso lungo 5 anni più 5 con contratto a tempo determinato ed infine l’accesso nel servizio sanitario. Questa misura riguarderà pochissimi ricercatori e tutti gli altri rimarranno confinati nell’ombra.

Ricercatori e ricercatrici che da 10 – 20 -30 anni che hanno lavorato con borse di ricerca vedono sfumare la possibilità di essere inseriti in questa area creata per la ricerca nel Policlinico. Per capire questo quadro di desolazione qualche numero: su 300 ricercatori solo 26 verranno “stabilizzati” con la legge Bilancio 2017.

La domanda che sorge spontanea è di natura duplice: cosa faranno gli esclusi a cui non è riconosciuta l’anzianità maturata con le borse e come potrà essere portata avanti la ricerca?! Perché se la normativa è peccaminosa di alternative valide ad una forma contrattuale che renda il lavoro di un ricercatore tale a tutti gli effetti e scevro da qualsiasi forma di precarietà, vi sarà una sorta di amputazione a molti progetti di ricerca che rischiano di rimanere bloccati, vacanti o rallentati.

La figura normativa dei co.co.co. (collaboratori coordinati e continuativi), non più prevista dopo l’introduzione del Job Acts, ha lasciato anch’essa un fantasma: non ci sono alternative contrattuali. Ma, come è possibile dedurre da tutto questo, i ricercatori bramano un riconoscimento normativo e morale per ciò che fanno con passione, lamentando più che la loro condizione, la mancata possibilità di andare avanti come team, come equipe, come persone che progrediscono e contribuiscono ad arricchire con conoscenza e traguardi, la vita dei pazienti e il patrimonio della società.

In fondo tagliare le spese è contrarre nel morso della carestia scientifica, pazienti, società, sviluppo.

Scrive una studentessa:

“Sono Roberta, una studentessa prossima alla laurea. Il mio sogno è fare la ricercatrice. Per due anni sono stata in policlinico per tirocinio ed ho amato ogni singolo giorno di questa esperienza. Ho conosciuto persone meravigliose. È necessario sostenere i ricercatori nel loro lavoro perché altrimenti il nostro paese regredisce. In primis io stessa lascerei l’Italia per occasioni all’estero ma mi dolerebbe molto!”

Lasciamo l’indirizzo e-mail che aiuta a sostenere e divulgare la missione dei ricercatori e delle ricercatrici a voi lettori che vorrete condividere questo per un progetto comune: promuovere la qualità della vita!

precari.policlimi@gmail.com

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