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A teatro, una culla per “Le nostre anime di notte”

da | Nov 15, 2022 | Arte & Teatro | 0 commenti

Teatro Giuditta Pasta Saronno | Le nostre anime di notte| Regia di Serena Sinigaglia | Lella Costa e Elia Shilton

<Ho preso il mappamondo, l’ho fatto ruotare più e più volte, ho individuato l’America, il Colorado. Ho perlustrato con la lente di ingrandimento i distretti e le contee, ma non ho trovato quella di Holt, come è possibile, mi avevano suggerito un itinerario suggestivo… ho addirittura pagato per questo tour! Chiederò il rimborso, manderò all’aria quell’agenzia viaggi!>

Essere precipitosi spesso gioca brutti scherzi, avere pazienza invece, riserva sorprese e tesori. Dinanzi ad una critica tanto violenta, si indica un cartellone, lungo una via in cui è presente un supermercato, una caffetteria ed un teatro, in cui c’è un titolo “Le nostre anime di notte”.

La via per Holt, passa per di qua! La prima sosta si chiama “Le nostre anime di notte”

Così, viene aperta la strada, spingendo le porte verso un’ampia sala dove è custodita una grande scatola di legno aperta e arredata. Il palco tutto attorno è lasciato spoglio, si vedono le casse, gli impianti luminosi, stanno facendo ancora le prove oppure?

La visione che si staglia dinanzi all’ingresso sta sul limitare di realismo e crudezza, nonostante questo, è come se ella, impersonificata, si consegnasse e chiedesse di essere tenuta in mano, per assaporarne il gusto ricco e palpitante di ciò che in realtà annuncia. La visione infatti, è portatrice di una novella. Siamo capaci di accettarla così com’è? E’ troppo dissoluta?

Quante volte si vede un film dopo aver letto un libro e, immancabilmente, le aspettative non sono raggiunte. Per quanto impegno il regista, gli attori, i tecnici possano infondere, manca sapidità.

Accade talvolta anche con la prosa, la produzione teatrale. Si lascia la poltroncina con papille gustative in preda allo sconforto. È proprio vero che alcuni scrittori sono matrioske, il cui ermetismo è quasi intoccabile e irraggiungibile, solo un’estrema sensibilità ed immaginazione, permette di avvicinarvisi.

C’è chi ci riesce e condivide tale fortuna, mettendola a disposizione di chi è bramoso nel voler toccare con occhi, cuore e sensi, occasioni e spunti di vita, appena sfogliati in libri-nicchia.

È giusto svelare gli artefici di un capolavoro a tal punto!

Kent Haruf, scrittore, sconosciuto per molto tempo in Italia, celebrato nella sua patria e annoverato come una pietra miliare per la letteratura americana classico-moderna. Le sue parole, assi portanti del rilievo di un’America rurale, spietatamente semplice, meravigliosamente amabile. Dialoghi di una quotidianità spiazzante, ermetici a tratti, proprio come i pensieri che si dipanano nella nostra mente andando al lavoro, facendo le pulizie, caricando di pellet una stufa, tenendo dei guanti bellissimi nel carrello e depositarli appena prima di arrivare alle casse automatiche del pagamento, facendo passare solamente il cartone del latte.

Lella Costa, attrice, scrittrice, doppiatrice ma soprattutto Donna. I monologhi, i ruoli portati in scena da questa Anima custodita in un meraviglioso tempio corporeo, diventano membra sinuose, carezze materne, punteggiature maestre affinché possiamo ritrovare ritmo, ordinando quel flusso di pensieri inarrestabili. Lella suggerisce proposte e itinerari, non siamo obbligati a rispondere immediatamente, possiamo pensarci, prenderci tempo ma, si sa, diventiamo come bambini alla Viglia di Natale, non dormiamo neppure, ci precipitiamo alle prime luci dell’alba per tuffarci nell’aprire scatole, diciamo il nostro sì.

Come del resto Louis Waters (Elia Shilton) ed il suo sì a Addie Moore dinanzi alla proposta di dormire insieme… un quesito bollente, licenzioso, violento per l’età dei due! Senza aprire la scatola certamente può essere interpretato così ma, solleviamo di un poco il coperchio, lasciamo che il tecnico in scena aiuti gli attori. Leggiamo un’altra definizione.

Serena Sinigaglia, regista, intuitiva, minuziosa, specialmente Donna. Per questo spettacolo in cui le prime battute sono in punta di piedi, si riportano le note della regia, delicatissime, garbate:

Si incontrano, notte dopo notte, in casa di lei e parlano…parlano…parlano. Immagino una camera da letto, che ricorda gli interni di Hopper, pulita, ordinata e piena zeppa di ricordi. Nel corso delle loro conversazioni notturne la camera si trasforma, si smonta, come se il loro incontro ponesse nelle giuste scatole i ricordi, anche quelli più amari, e aprisse lo sguardo verso orizzonti nuovi. Così, come per magia, la stanza sparisce, niente più pareti, finestre, mobili, cornici, lasciando spazio ad un cielo meravigliosamente stellato, ad una notte che avvolge e protegge, a due esseri umani vicini, abbracciati, dannatamente vivi, nonostante l’età, le tragedie e i fallimenti vissuti, gli ostacoli, i giudizi, la paura. E forse è questa la libertà. Saper ricominciare, sempre e non rinunciare all’amore, mai. Io ne ho tanto bisogno e credo che valga un po’ per tutti. Si impara a vivere per tutta la vita. Quest’opera è uno strumento prezioso per riuscirci. cit. S. Sinigaglia

C’è un solo momento di tremore lancinante, il terremoto vocale di Addie che spazza come solo gli uragani presenti anche nel Midwest sanno fare, infissi, serramenti, tetti. Rimane solo un pavimento e le stelle.

“Va viaaaa!”

Per chiunque non conosca Haruf, Lella Costa, Elia Shilton e Serena Sinigaglia lo portano cullandolo, con i palmi delle mani grondi di amore, lo stesso che permea i racconti di Holt. L’itinerario e la trasposizione hanno superato ogni aspettativa, addirittura hanno condotto a mirare le stelle, su un tappeto di tenerezza!

Si ringrazia il Teatro Giuditta Pasta, Serena Sinigaglia, Lella Costa, Elia Shilton.

erica g.

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