Il Vajont di Tutti – Riflessi di Speranza | Di e con Andrea Ortis | Prodotto da MIC International Company |
Andrea Ortis, Jacopo Siccardi, Elisa del Corso, Mariacarmen Iafigliola, Michele Renzullo, Selene Demaria, sono gli interpreti della “Storia di tutti”, 𝐈𝐥 𝐕𝐚𝐣𝐨𝐧𝐭 𝐝𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢. 𝐑𝐢𝐟𝐥𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐩𝐞𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚.
Quello che è stato messo in scena non è uno spettacolo, sarebbe un vocabolo tanto minimale quanto inappropriato.
E’ la storia tra le storie, il muoversi di menti avide in cuori che non c’entrano niente, pensieri razionali, puntati al profitto, cecchini in cerca di successo, che mirano alla memoria, piegandola, ai valori, preferendo un prezzo, una percentuale, un finanziamento. Osservi un luogo, una valle, le cime delle montagne, gli alberi, la fauna, la vegetazione, gli uomini, le donne, i bambini, gli anziani. Piccoli e grandi giganti che si accumulano, come i detriti in un guscio di mollusco, ne esce una perla. Eppure queste perle, formate in milioni di minuti, ore, decenni, divenute <biblioteche> da consultare, vivere, salire sulle loro spalle, vengono quasi schernite. Esproprio. Perché è solo un pezzo di terra, è solo un tassello di memoria. qualcuno avrà su un tavolo tarlato, i trenta denari. Coloro che mirano al profitto, non sanno che quei trenta denari verranno gettati e scivoleranno nel Piave, la gente “ultima” si terrà le lacrime! La gente della montagna, ha una scorza, ha un dentro, fatto di sani ideali, di racconti necessari a diventare grandi, custodendo i profumi dell’infanzia, accettando il sacrificio del lutto, della guerra, della resistenza, del rischio per la libertà.
Pezzi di terra che sono in realtà pezzi di gamba o braccia. Alcuni preparano le valigie.
*Un’ora prima del disastro. Testimonianza di Maria Capraro, telefonista*
«[Il 9 ottobre] verso le ore 21,45 il telefonista dell’ufficio Sade di Longarone mi spiegò che aveva necessità di mettersi in collegamento con l’abbonato numero 41, (…) corrispondente con la fabbrica “Mec Marmi”, in quanto non era escluso che durante la notte, a causa di qualche franamento, dell’acqua potesse fuoriuscire dalla diga e preoccupare gli operai della fabbrica. Preoccupata gli chiesi se vi era qualche pericolo anche per Longarone, precisandogli che avevo una bambina. Al che egli mi rispose che per Longarone non vi era alcun pericolo. Gli chiesi notizie anche sull’andamento della frana ed egli mi rispose che durante il giorno vi era stato un abbassamento di circa trenta centimetri nel versante del monte Toc e che il canale verso Soverzene era ostruito, ma comunque dal giorno prima, il bacino era stato vuotato di circa dieci metri d’acqua e pertanto non vi era alcun pericolo»
Ognuno ha il suo dolore, la storia del Vajont è la storia di tutti.
Si parla di voglia di progresso, desiderio di tessere le grandi opere civili per dare lavoro, incrementare il benessere, trarre profitto, governare quel che la natura, il pezzetto di natura che abitiamo, per vivere secondo un altro tenore di vita. C’è bisogno di leggerezza, di soavità. Si vuole cavalcare l’onda del boom economico.
Eppure nella storia del Vajont ci passano due guerre mondiali. Il tempo degli uomini scivola, nonostante gli orrori, si susseguono mode – vogliono osare di più, vogliono scoprire i corpi della gente, delle donne-, fanno capolino, imprimono in modo diverso le loro orme personaggi importanti, c’è musica, quella italiana fiorisce e dai grammofoni si canta nelle case.
Intanto c’è la SADE (Società Adriatica di Elettricità), che riesce nel 1929 a presentare il progetto definitivo firmato dall’Ingegnere Carlo Semenza, supportato dalla relazione del Geologo Dal Piaz, la società sin dalle albe dei primi anni del 1900 pensa a come sfruttare l’acqua, una valle, un bacino. Dove? Nella valle del Vajont, un torrente che va a confluire nel Piave, tra il monte Salta e il Monte Toc.
Nelle case ci sono le canzoni, si arriva alla prima edizione del Festival di Sanremo, il Carosello. I ragazzi nelle case scherzano, ridono, sulle note di Mille lire al mese, Ba..baciami piccina, Maramao… perché sei morto, Voglio vivere così, Volare.
In questi pentagrammi abbiamo le trincee, la deportazione, gli avamposti, le biciclette consumate per portare il necessario, gli aiuti, la salvezza (forse) agli uomini. Le donne, le ragazze non avevano paura a consumare le gomme. Non avevano paura di niente, così sembrava. Tina Merlin, ne aveva? Oppure era rabbia? Era voglia di giustizia?
In fondo la guerra era fatta ancora con le armi, ancora con il sangue. la guerra per come era conosciuta sino ad allora aveva un campo di battaglia, delle fazioni. La natura era un palcoscenico. Poi tutto cambiò. La guerra poteva essere fatta su piani più sottili, senza sangue apparentemente.
La Sade, il monopolio che uccise, in fondo ci interessa poco:
faceva i suoi affari come tutti gli imprenditori del mondo.
Sapendo che li poteva impunemente fare, che glieli lasciavano fare.
Era il burattinaio che tirava i fili e faceva muovere i burattini
– scienziati e politici – come voleva.
Il potere era lei, perché il vero potere aveva abdicato. (Tina Merlin, Sulla pelle viva, p. 20)
L’uomo ha compiuto l’atto più insensato e pericoloso di tutti: ha giocato ad apporre i sentimenti e l’agire umano sulla Natura. Ah, quasi sarebbe da deridere e schernire chi ha fatto ciò. Erigere una diga, un’opera colossale, consapevole della fragilità del territorio. Hanno continuato a giocare, con modellini, progetti e varianti by-pass. Baby-boss in giacca e cravatta dinanzi a lavagne con equazioni, scartoffie da nascondere, voci da soffocare. La gente andava dal parroco, poi dai carabinieri, poi dal genio civile. Nulla, il gioco continuava. Le avvisaglie, le prime vittime.
Niente, innalziamo l’acqua. servono i finanziamenti, le approvazioni. Qualcuno, dentro la SADE, inizia ad avere sprazzi di lucidità, avverte i tarli, altri, diversi da quelli che abitano i tavoli e i mobili dei poveri. Qualcosa s’agita dentro. E’ tardi. Gli insetti coleotteri sono differenti da quelli che sottraggono memoria a poveri anziani e anziane che portano il gerlo sulle spalle da sette decenni. Non bastano. La morte, il fato e i vizi capitali hanno fatto il loro corso.
Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano centinaia di creature umane che non potevano difendersi (Dino Buzzati – Corriere della Sera)
La diga del Vajont, quest’opera monumentale non ha ceduto. Quel calcestruzzo non ha ceduto. Dinanzi ad esso si vede il Dolore. Paleofrana. Chi ha taciuto? Cosa e chi sei assassino di memoria, di biblioteche, desideroso di camminare a braccetto per il tuo orgoglioso vezzo di soggiogarmi?
Ti denuncio dolore, mi libero di te, la voce diventa eco, perché la Natura, il pezzetto di cosmo in cui hanno abitato i vecchi, i bambini, i grandi, in cui abito io va onorato. Si deve baciare la terra, ogni granello di roccia sbriciolata, perché la sentenza emessa dagli uomini è stupida ignoranza. Quei granelli, quel versante ha rivelato sé, chi lo ha ascoltato ha avuto il coraggio di prendersi il proprio posto, senza elevarsi, combattendo, accettando di essere scartato, ha fatto l’uomo. Non è bastato.
Una storia di popolo (…) di lotte, ribellioni, partecipazione civile contro i potenti, le loro angherie, le loro leggi, la trasgressione delle leggi dello Stato, la licenza di uccidere, la difesa del diritto, la rivendicazione della giustizia. (T. Merlin 1997, p. 20)
Chi ha scelto di essere e di fare l’uomo, quello vero, ha pure fatto a patti col dolore.
…Sto scrivendo queste righe col cuore stretto dei rimorsi per non aver fatto di più per indurre il popolo di queste terre a ribellarsi alla minaccia mortale e che ora è diventata una tragica realtà. Oggi tuttavia non si può soltanto piangere. È tempo di imparare qualcosa. T. Merlin
* Mercoledì 9 ottobre 1963 alle ore 22,39 *
La gente era in casa, alcuni a letto, altri al bar a vedere la finale di Coppa campioni. Di colpo un vento gelido, sotto, crescente, un rombo, un boato. «La nonna ha urlato: è la fine del mondo, scappa, scappa», racconta Gervasia Mazzucco, allora bambina.
<il vento, prima ancora dell’acqua, aveva spogliato le persone<, dice il vigile del fuoco Giulio Erinacea, <li trovavamo nudi>.
Il Vajont di tutti – riflessi di speranza, commuove, non sono lacrime semplici. È acqua e sale che prende forma e scivola. È gratitudine, è memoria, è chinarsi dinanzi alla natura, alla bellezza, terribile, allorquando venga violentata. È baciare la storia e le storie, i corpi nudi. È rispetto.
Dolore, puoi anche spezzare, ma da quella frattura, si sceglie di fregarsene di te, di essere uomo, denunciare, custode di una bellezza, di un bene che è dimora. In tale scelta libera, alcuni diventano semi luminosi, altri si limitano al superficiale pensiero fermo nell’ego.
… Quale sarà lo sviluppo dell’umanità in senso economico ma soprattutto umano partendo da un dato di fatto: l’esistenza di nuovi saperi e nuove tecnologie capaci di fornire benessere ma anche distruzione … chi deve scegliere tra autodistruzione e sopravvivenza? – T. Merlin
Si ringrazia con gratitudine e ammirazione per quanto dato, Andrea Ortis, il Cast Artistico, Tecnico, la Produzione MIC International Company, per l’accoglienza il Teatro di Varese
Credits immagini -> MIC International Company (link per le date del Tour)
erica g
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